I mille nomi astrusi della malattia di vivere
Italo Svevo, uno degli scrittori che con maggior consapevolezza hanno messo al centro della loro opera il rapporto tra salute e malattia, affermava che la salute non è altro che “il giusto medio tra due malattie” e che, in ultima analisi, la sola guarigione impossibile è quella dalla “malattia di vivere”.
Con l'aiuto di Svevo e della sua sottile ironia, noi tutti possiamo arrivare facilmente e senza drammi a questa conclusione: che non si morirebbe se non si fosse vivi. E che dunque la vita è la principale malattia che esista, la sola che con assoluta certezza provochi la morte.
Siamo tutti malati, dunque: malati di essere al mondo. Ma la medicina non può accontentarsi di una diagnosi così generica. Vuole bensì convincerci che siamo tutti malati, ma vuole anche applicare a ciascuno la sua etichetta, la diagnosi della sua specifica malattia.
Secondo gli autori di un intelligente e audace articolo apparso sull'inserto della salute del New York Times, oggi, nel mondo occidentale, staremmo vivendo una vera e propria “epidemia di diagnosi”. Un'epidemia che ci rende malati anche quando godiamo di ottima salute.
Si sa, infatti, che negli ultimi anni sono nate come dal nulla decine e decine di nuove malattie e che altre ne continuano a nascere a ritmo frenetico. Certo a nessuno dei nostri progenitori capitò mai di vedersi diagnosticare, da adulti, una “sindrome da affaticamento cronico” o ancor peggio, da bambini, una “sindrome da deficit attentivo”.
Una delle cause di questa “epidemia di diagnosi” va ricercata nei mezzi di indagine sempre più sofisticati e nell'uso eccessivo, talvolta sconsiderato, che la medicina ne sta facendo. Una vera e propria smania del test, una febbre dell'esame clinico, una psicosi delle “analisi” sembra essersi impossessata del genere umano. Una TAC e una risonanza magnetica non si negano a nessuno. E non c'è medico che apra bocca in assenza di una dettagliata e recentissima analisi del sangue.
H.G. Welch, primo firmatario dell'articolo cui ci riferiamo, è anche autore di un importante libro dal titolo molto significativo: Should I Be Tested for Cancer? Maybe Not and Here's Why (“Devo fare un controllo per sapere se ho un cancro? Forse no, ed ecco perché”). Una calorosa esortazione a non sottoporsi ad esami inutili, angosciosi e spesso dannosi.
L'altra causa di questa smania di diagnosticare malattie improbabili e sindromi inaudite a gran parte degli esseri viventi va ricercata, naturalmente, nei giganteschi interessi in gioco. Alla diagnosi segue il trattamento, e il trattamento significa spese mediche e farmacologiche. A trarne vantaggio sono in primo luogo le case farmaceutiche, ma anche gli istituti di cura e la classe medica in generale.
A pagare, in termini di denaro, è quasi sempre lo Stato, ma in termini di salute è quasi sempre il paziente. I farmaci non sono mai innocui, nemmeno quando sono necessari. Ma quando sono inutili fanno proprio male alla salute. La quale, come si è visto, non è che “il giusto medio tra due malattie”. Non diagnosticabili.
Preso da qui
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